Lo scultore del metallo neretino che rende visibile l’incanto del “divenire” con la sua arte
Plasmare la materia, darle vita e movimento, lasciarsela sfuggire di mano. Tutto questo è arte e accade nel laboratorio di Daniele dell’Angelo Custode, artista scultore del metallo.
L’abbiamo conosciuto lo scorso ottobre in occasione della presentazione ufficiale del Piano Worldwide 2025 di Tesori d’Italia a Nardò e ci ha conquistati con la sua visione del mondo, uno stile di vita che trasmette in tutte le sue creazioni artistiche.
«Mi è sempre piaciuta la sfida, trovare nuovi materiali, nuove emozioni e nuove avventure» – ci racconta Daniele – «mi è venuta voglia di vedere cosa la materia, nello specifico ferro, acciaio e metallo, mi poteva dare in termini di trasformazione e questo è il risultato: una lunga ricerca che dura ormai da 10 anni, che mi ha portato nelle varie capitali d’Europa, come Bruxelles, Parigi, Torino, Roma, fino a Dubai, a far vedere le mie opere». Ogni angolo del suo Atelier di Nardò, che contiene solo una piccola parte delle sue opere, è occupato da sculture dal design esclusivo, fusione di eclettismo e armonia. L’elemento metallico di cui sono fatte esprime emozione e dinamismo, si lascia ammirare, diventa vulnerabile; la materia è scheggiata, incisa, bruciata, e sembra respirare.
Con due soli strumenti, il cannello e il martello, Daniele dona forma al metallo, creando elementi architettonici, di design, di arredamento, oggetti fatti per restare immobili o diventare funzionali, per essere esposti o ammirati, studiati o usati, poco importa, perché ogni cosa ha un’origine e racconta una storia.
Come l’opera “Flussi”, nata da una trave in legno del 1700 che Daniele dell’Angelo Custode aveva trovato in una casa storica di Nardò: «Era stata buttata, l’ho presa e le ho curato le ferite». Dalle fessure del tronco reciso sgorga adesso piombo lucente, fuso, che ne riempie ogni cicatrice.
«La particolarità del mio lavoro risiede nella sperimentazione, nella volontà di trovare nuove fisionomie. Non c’è un’opera uguale a sé stessa, ognuna ha una sua particolarità, una sua visione, una sua variazione. Sono sempre alla ricerca di qualcosa, di una forma nuova e non ripetitiva».
Daniele dell’Angelo Custode fonde e si fonde con le sue creazioni ma non le cristallizza, non si sofferma in un unico stile, riuscendo così a lasciare spazio “allo stupore eterno del divenire”, onorando la metamorfosi della materia, forgiandone la sua libertà. Sì, perché l’artista deve essere capace di lasciarsi andare a quello che ancora non è.
«L’opera che a me piace è quella che ancora sta in divenire», prosegue Daniele, che da sempre, fin da quando era bambino e lavorava il vetro nel laboratorio del padre, ha sentito dentro sé il desiderio di mettersi in confronto con la materia, cercando e ritrovando il meglio da essa.
L’esplorazione, lo studio, la continua ricerca, sono tratti caratteristici dell’arte di Daniele, ispirano i suoi progetti e ne diventano l’emblema. L’autenticità del suo lavoro richiama e si rivela nel concetto aristotelico delle cose “in potenza”, che fa sì che lo sguardo dell’artista sia sempre in movimento, sempre presente, capace di intervenire sulla materia, di vedere oltre, donando un nuovo soffio vitale alle cose, non lasciandole morire.
«Se rivedo e ripenso alle opere che ho fatto in precedenza, mi meraviglio. Il sunto di quello che sono oggi è tutta l’esperienza passata. E ancora cerco di condensare in pochi tratti quello che è l’essenziale della materia».
Non è un caso se la scritta Never give up, “Mai arrendersi”, campeggia sul muro del suo Atelier, scolpita da Daniele stesso sul metallo. «Rappresenta la sfida della vita, è un motto che sento mio insieme a “Il bello deve ancora venire”».
di Claudia Mele