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lunedì, 16 Dicembre, 2024
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Il Made in Italy da solo non basta

Fare un buon prodotto non basta più. Come non si può più vivere nell’attesa che qualcuno se ne accorga. L’Italia deve mettersi nuovamente in moto. Attivarsi come non ha mai fatto prima e puntare ad un livello culturale di impresa, di digitalizzazione e di relazioni internazionali che le consenta di tornare veramente competitiva. Bisogna compiere due passi indietro per farne uno più importante in avanti: abbandonare l’idea del so fare tutto io, del non mi conviene, per ricominciare ad investire seriamente sulla formazione interna e sulla consulenza esterna, vero valore aggiunto del nostro ingegno italiano. Occorre fermare gli sprechi e puntare all’equilibrio tra una crescita aziendale controllata e uno sviluppo adeguato alle proprie risorse e capacità produttive.

Come la creazione di un team vincente non dipende solo dalle disponibilità finanziarie, ma da un programma costante di studio e di condivisione degli obiettivi e delle strategie, così il concetto di Internazionalizzazione non vuol dire solo lavorare e fatturare con l’estero. Internazionalizzarsi, oggi, significa sviluppare un’ottica imprenditoriale ad ampio raggio che richiede requisiti precisi: la conoscenza degli strumenti messi a disposizione dal proprio Sistema Paese; lo studio dell’andamento dei mercati mondiali – non più limitato al proprio settore; l’impiego di nuove tecnologie nella produzione come nella comunicazione aziendale; la capacità di adattarsi alle nuove dinamiche commerciali, logistiche e finanziarie dettate dagli scenari globali.

Contiamo 4,4 milioni di imprese attive in Italia di cui quelle con meno di 10 addetti rappresentano il 95,13% del totale, contro un 0,09% di grandi imprese. Il restante 4,78% è costituito da 211.000 PMI che generano il 41% dell’intero fatturato nazionale. Mentre le PMI italiane dal punto di vista della produttività sono superiori alla media europea, non possiamo dire lo stesso delle micro imprese che soffrono invece dell’incapacità, determinata o indeterminata, di stare al passo con i tempi e di esprimere al meglio il proprio potenziale aziendale. Ciò sta causando una spirale di incertezza e di malcontento, che comporta costi passivi sempre più pesanti, nel quale confluiscono purtroppo centinaia e centinaia di imprese, bloccate e demotivate. Una deriva che contagia il contesto produttivo a più livelli, non aiuta chi coltiva nel piccolo il proprio sogno imprenditoriale, frena lo sviluppo delle economie territoriali e spalanca le porte ad investitori e speculatori stranieri.

Guardare al futuro e alla nascita di nuove imprese è fondamentale per lo sviluppo di un Paese, ma non riuscire a proteggere e sostenere le fondamenta del proprio apparato produttivo su larga scala è il sintomo più grave di un Brand nazionale che finisce per nascondere nel suo stesso Logo i segni del decadimento e di un’artigianalità relativa. Esiste un bacino ricchissimo di utenza imprenditoriale che andrebbe ripreso e rilanciato. Un vero e proprio Tesoro su cui puntare tutti insieme per riportarlo al suo antico splendore. Il Made in Italy da solo non basta e rischia di sparire se l’Italia non si ritrova in uno sforzo congiunto degli imprenditori, delle Istituzioni, delle Associazioni di categoria, degli Studi di Consulenza, rivolto verso le nostre stesse origini, che inneschi un moto di speranza, di reciprocità, di autenticità, per una crescita strutturale concreta e consapevole.

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