Egregio Presidente,
sono Riccardo D’Urso, direttore responsabile di Tesori d’Italia Magazine. Ho rilevato la rivista con la mia società giapponese quattro anni or sono, salvandola dal fallimento e dalla acquisizione di un gruppo straniero. Da anni sono impegnato nella tutela e nella promozione dell’Italia in Giappone; per mantenere italiano il Magazine – patrocinato nel corso della sua storia dalle più importanti Istituzioni di Governo, tra cui la stessa Presidenza del Consiglio –, oggi seguito da milioni di utenti, ho rilevato il debito dell’Associazione che lo ha fondato e costituito una società operativa in Italia che potesse produrre valore e lavoro. Tesori d’Italia si è evoluto in poco tempo in un Network integrato il cui obiettivo principale è raccontare i Tesori, le persone, e le Eccellenze, ovvero il patrimonio artistico, turistico e artigianale del Paese. Facciamo sistema e portiamo la cultura e i prodotti italiani nel mondo.
La pandemia ci ha bloccato, come tutti, ma non ci ha fermato. Abbiamo lanciato una Campagna a sostegno del Made in Italy a cui stanno aderendo decine di aziende e associazioni di categoria, sostenuta da diverse Ambasciate d’Italia nel mondo. Continuiamo imperterriti a diffondere positività e a coinvolgere imprese, spronandole a resistere e a credere in un Sistema che molti danno per spacciato, il nostro Sistema Italia. Un Sistema che, seppur a volte inadeguato e criticato, continua a portare l’Italia nel mondo con qualità e competenza. Quando qualcuno mi dice che avrei fatto meglio a gestire tutto dall’estero, in modo ben più proficuo, ricordo a me stesso la scelta che ho fatto e ne vado profondamente orgoglioso: io sono italiano, italiano al 100%.
Non mi è dato di capire, Presidente, nell’ambito del tanto atteso decreto, in quale categoria la mia attività rientri. So tuttavia che nel momento più difficile che il nostro Paese sta attraversando, ora che siamo noi a chiedere al sistema di intervenire o anche solo di far luce su come uscire insieme dal buio, troviamo le porte chiuse. Non si tratta solo di un problema di erogazione di fondi o servizi, ma di comunicazione: manca il dialogo con i cittadini sul territorio e mancano le risposte.
Chi Le scrive ama profondamente il proprio Paese. Amare un Paese che non ti ama, però, ti pone nuovamente nella condizione di dover fare una scelta. Scelta che non riguarda lo stare al centro o andare a destra o a sinistra, ma qualcosa di molto più profondo, più serio, che impatta sul futuro di intere generazioni: se restare o andar via di nuovo.
Che si abbia vent’anni, che se ne abbiano cinquanta (o anche settanta, come questi ultimi tempi tristemente insegnano), ci chiediamo un po’ tutti se valga la pena combattere ancora contro i mulini a vento o se sia meglio cercare vita altrove. È un pensiero ricorrente. Come quelle bollette ferme da tempo sul mobile d’ingresso che, prima o poi, sai di dover saldare. L’Amore per l’Italia non c’entra. Quello non è mai in discussione, anzi, ogni qualvolta si paventa in noi il desiderio forzato di allontanarci da questa parte di mondo intrisa di storia e bellezza, ci sentiamo ancora più legati alle persone, alle cose, ai luoghi. Non è una scelta facile (si figuri per chi lo ha fatto e poi ha deciso di tornare). L’Italia è meravigliosa, magica, insostituibile, ma la capacità che ha questo Paese di infondere del bene e, allo stesso tempo, fare del male è unica. Non voglio parlare di colpe, ma nessun Paese dovrebbe mettere i propri cittadini in una situazione del genere. Nessuna nazione dovrebbe allontanare ripetutamente il proprio popolo da sé stessa. Eppure è così. Lo è da troppo tempo ormai e sembra che nessuno riesca a mettere un freno ad un’Italia che scivola verso un futuro all’insegna di un’eccellenza, seppur di stampo italiano, sempre meno Made in Italy.
Possibile che si debba essere costretti a creare fuori le condizioni necessarie per lavorare per il nostro Paese? Possibile che si debba ricorrere all’aiuto di Culture e di Sistemi più organizzati per poter promuovere e valorizzare il nostro patrimonio culturale e commerciale? Possibile mai che l’Italia non risponda agli italiani, quando il resto del mondo non aspetta altro che un’occasione per raggiungere l’Italia e apportarvi valore, risorse, soluzioni?
Non si smette mai di imparare nella vita, ma ci sono cose che vorremmo smettere di dover apprendere forzatamente, soprattutto dopo anni di lavoro, di fede nel proprio Paese e di sacrifici. So di essere un pezzo di quell’Italia che investe e combatte ancora per un sogno di unità nazionale, di benessere condiviso e di sviluppo culturale oltre che economico; ma sono anche parte di quegli italiani che se non avessero creato una base all’estero, oggi sarebbe costretto a fermare tutto e ad arrendersi al buco nero della nostra burocrazia.
La stimo, Presidente, per come sta gestendo un’emergenza all’interno di una concatenazione di crisi ben più grande, nazionale, europea e mondiale. In un frastuono di individualismi, erano anni che, nel sentirLa parlare e rivolgersi a noi italiani su reti unificate, non avvertivo un’appartenenza così forte al mio Paese e al mio Stato. Non ho mai creduto in soluzioni rapide, ma ho intravisto la determinazione, l’equilibrio e l’intelligenza di un Italiano dal quale mi sono sentito nuovamente rappresentato. Vorrei avere fiducia in Lei, Presidente, per quanta poca ne abbia nell’attuazione concreta e immediata delle azioni di rilancio. Vorrei credere che possa lasciare un segno di coerenza e di lungimiranza nel disordine che ci circonda, a dimostrazione di un impegno sincero per il bene di questo Paese. Vorrei avere fiducia, Presidente, e vorrei scegliere di restare, di impiegare tutte le mie ultime risorse per combattere le battaglie cui la crisi sta costringendo ogni piccolo imprenditore lasciato solo. Ma ho bisogno per questo, oltre che di fatti, di risposte.
Le chiedo allora di far sentire la Sua voce, Presidente. Le chiedo di parlare a nome di chi non ritiene doveroso farlo perché è più facile nascondersi dietro email generate in automatico. Le chiedo di intervenire affinché le parole a sostegno dell’Italia pronunciate da Lei, Presidente del Consiglio, abbiano il peso che meritano e trovino negli Enti preposti il riscontro di cui oggi abbiamo tutti bisogno. Ci aiuti a restare fermi nelle nostre scelte in difesa dell’italianità e ad essere un esempio di speranza, di costruzione e di continuità. Ci aiuti concretamente a contrastare il dissenso, ci aiuti a dar voce alla rinascita e non alla rivoluzione.
Per quanto gli italiani siano stanchi di parole, sono assetati di imprese. Se non disporremo dei mezzi, Presidente, ce ne faremo una ragione; ma noi che amiamo il nostro Paese, noi dall’animo intramontabile, meritiamo risposte. Non saremo mai un sistema perfetto, ma siamo quel popolo, quella squadra, a cui proprio quando tutti dicono che non ce la può fare, basta una pacca sulla spalla e la giusta motivazione per vincere su tutto e tutti e riscoprire la bellezza del tricolore. Il punto non è solo se resistere o se restare o meno in Italia. È capire prima di tutto cosa vuole da noi il nostro Paese.
di Riccardo D’Urso
Presidente Associazione Le Mappe dei Tesori d’Italia
Direttore Responsabile Tesori d’Italia Magazine