L’interesse e la passione del popolo giapponese per la cultura italiana ha radici lontane. La storia d’amore tra Kiyohara O’Tama e Vincenzo Ragusa è un esempio di come l’Italia ed il Giappone siano due Paesi, seppur così lontani, fortemente legati fra di loro.
O’Tama Kiyohara fu una pittrice e disegnatrice giapponese, vissuta nel periodo a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. A 17 anni conobbe Vincenzo Ragusa, uno scultore siciliano che si era recato in visita in Giappone per un viaggio di lavoro, e fece da modella per le sue sculture. Successivamente decise di seguirlo a Palermo, diventandone prima musa ispiratrice e, in seguito, moglie, prendendo il nome italiano di Eleonora Ragusa.
In quel periodo Palermo era uno dei luoghi artisticamente più attivi in Europa – riconosciuta come capitale dello stile Liberty – grazie anche all’impulso economico dato alla città dall’impero industriale della famiglia Florio. O’Tama si trovò quindi catapultata in un mondo completamente diverso dal suo – ricordiamo che il Giappone aveva aperto le sue frontiere ai paesi occidentali pochi decenni prima – e fu una delle primissime artiste orientali a giungere in Europa. L’incontro con il mondo artistico europeo del tempo costituì quindi per lei una importante opportunità per innovare la sua arte, ma anche un modo per fare conoscere l’arte orientale al panorama culturale italiano, rompendo gli schemi classici che andavano di moda in quel periodo.
Il sogno di O’Tama e Vincenzo era quello di creare a Palermo una casa-museo dove sperimentare e insegnare le tecniche legate sia all’arte occidentale che a quella orientale. Nel 1883 furono infatti inaugurati presso la casa dello scultore il Museo d’Arte Giapponese e una scuola-officina, di cui O’Tama divenne vicepreside e direttrice della sezione femminile. Quasi subito, però, il museo fu chiuso per Regio Decreto, probabilmente per la diffidenza verso l’approccio orientale all’insegnamento dell’arte utilizzato nella scuola e in generale verso la cultura non occidentale.
Nel 1933, dopo la morte del marito e 51 anni di permanenza a Palermo, O’Tama ritornò dalla sua famiglia in Giappone, dove aprì un atelier.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1939, per volontà della stessa O’Tama, metà delle ceneri fu sepolta in Giappone nel tempio di famiglia, l’altra metà nella tomba del marito, a testimonianza di come la sua anima fosse equamente divisa tra il suo paese natio e quello adottivo.
In questi giorni Palermo omaggia la sua cittadina acquisita con una mostra, dal titolo “O’Tama. Migrazione di stili”, organizzata dalla Fondazione Federico II con il patrocinio dell’Ambasciata del Giappone in Italia e in collaborazione con il Centro Regionale per il Restauro, il Museo delle Civiltà – Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” e il Liceo Artistico “Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara”.
La mostra, che sarà visitabile fino al 6 aprile 2020 presso gli Appartamenti Reali del Palazzo Reale di Palermo, conta 101 opere tra manufatti, tessuti e acquerelli, restaurati per l’occasione. I 46 acquarelli inediti esposti raffigurano due tipologie di soggetti: composizioni floreali (ikebana) e a tema botanico. Tra le altre opere in mostra 9 ceramiche, 14 bronzi, 2 ventagli, 6 cartoni (kinkawa-gami) e il prezioso kimono dipinto a mano e ricamato con seta policroma e filo d’oro, che Vincenzo Ragusa acquistò in Giappone per la sua collezione, oggi collocato all’interno di una teca dedicata nella Sala dei Vicerè del palazzo.
Un omaggio dopo quasi un secolo, per restituire all’artista quel valore che in vita probabilmente molti non apprezzarono, per una certa ostilità nei confronti di una cultura così diversa, ma che oggi trova la sua consacrazione con una mostra in uno dei luoghi più importanti e visitati della città di Palermo.
di Giuseppe Mazzola
Foto di Giuseppe Mazzola
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