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lunedì, 20 Maggio, 2024
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Riflessività e pensiero positivo

Pensare positivo e agire di conseguenza è, sin dall’origine dei tempi, l’unica grande vera risorsa dell’essere umano. Dovrebbe esserlo ancor di più per chi fa impresa e per chi la fa in Italia. Siamo nel bel mezzo di un cambiamento radicale dei sistemi di ricezione delle informazioni e di interazione con persone e cose. Il filtro del web, della tecnologia e quindi dell’automazione, stanno determinando una passività sempre più preoccupante sia nei rapporti con gli altri sia con gli oggetti, non più stimolo di azione e di ricerca, ma mera condizione di selezione e di attesa.

La copertina a specchio del nostro magazine mi ha ispirato recentemente una serie di letture sulla riflessività sotto tutti i suoi punti di vista, e ho scoperto essere uno degli elementi costitutivi, in realtà, della nostra contemporaneità. Come riporta appunto Stefania Contesini (La pratica riflessiva, “Formazione & Cambiamento”, n˚4/2016) «[…] la società diventa riflessiva per far fronte al venir meno di punti di riferimento sociali, normativi, valoriali, messi ulteriormente in crisi da un’accelerazione senza precedenti dell’innovazione tecnologica. Per l’individuo, liberato dai vincoli tradizionali, non è più il tempo di delegare ad altri scelte personali e professionali ma si tratta di assumere su di sé il compito di dirigere la propria vita. Si è passati, come scrive Bauman, dall’epoca della “predestinazione” a quella del “progetto di vita”. Lo sforzo riflessivo è necessario perché l’aumento delle conoscenze, insieme alla pervasività e alla moltiplicazione degli intrecci, fa sì che connessioni e significati non siano più evidenti e diventi urgente costruire quadri di riferimento per orientarsi. Accanto a saperi specialistici, l’individuo deve possedere un sapere di tipo generico in grado di connettere conoscenze settoriali e pratiche sociali, costruire significati inserendoli in un disegno collettivo e dare un senso unitario al proprio percorso individuale e professionale. Prassi che diventa quanto mai necessaria per quei mondi professionali e ruoli gestionali per i quali scelte e responsabilità hanno ricadute non solo in ambito economico, ma anche sociale, relazionale, etico, il tutto in una dimensione di sempre maggiore incertezza e velocità di cambiamento».

C’è tanto in queste parole dell’importanza e del significato profondo del potere riflessivo dell’imprenditore.
Dalla semplice considerazione del “mi rifletto in uno specchio e rifletto sulla mia vita e su me stesso”, ad un mondo di significati e molteplicità di intrecci che non ha orizzonti, non ha confini. Il mondo cambia, che si evolva o meno, si trasforma, ma l’ago della bilancia restiamo sempre e comunque noi. Ed è qui che entra in gioco il secondo elemento, il pensiero positivo.
Ho una mia teoria in proposito, frutto principalmente del mio DNA, ma preferisco attingere anche in questo caso da letture specifiche per un argomento ormai di assoluta attualità. Apprendo così che un tempo si studiavano le emozioni cercando di individuare le azioni collegate e le reazioni fisiologiche: la paura induce, ad esempio, lo stimolo della fuga, la rabbia quello dell’attacco; la gioia spinge al voler fare qualsiasi cosa, la serenità al far di meno o niente. Fino ad imbattermi nella teoria broaden-and-build, letteralmente “allarga e costruisci”, di Barbara Fredrickson, secondo cui il sistema delle specifiche azioni collegate funziona solo per le emozioni negative. Per quelle positive, invece, l’autrice del libro Positivity sostiene che servano principalmente ad allargare le prospettive sulle possibili azioni future: la positività servirebbe, in pratica, a raddoppiare la nostra consapevolezza e ad aumentare le nostre possibilità di scelta in ogni determinata situazione, intensificando la quantità e la qualità di emozioni positive percepite quotidianamente.
Sono parole che esprimono la possibilità di noi tutti, imprenditori o meno, di sondare il mondo che ci circonda e di scegliere consapevolmente.
Che decidiamo di guidare o di seguire, “allarghiamo e costruiamo”, dunque, per un “progetto di vita” di cui ci impegniamo ad essere protagonisti attivi. Affrontiamo con il sorriso la quotidianità, specchiamoci negli altri e lasciamo che questi riflettano tutta la nostra positività, la voglia di vivere, di essere, di affermarci per ciò che siamo e non per ciò che sembriamo. Abbracciamo l’Italia in un percorso culturale, sociale e imprenditoriale che generi valore e benessere. Non è più “solo una questione di business” ─ anzi, stiamo lontani da chi parla così ─ ma di rapporti umani, perché alla lunga sono l’unico vero capitale che resti. Non conta più nemmeno la finanza se prima non si lavora alle fondamenta della fiducia, della rispettabilità, della bellezza. Perché dobbiamo aspirare alla bellezza, tutti i giorni, ovvero al piacere insito e sincero di condividere con le persone che scegliamo il cammino, ancor prima dei risultati. Riflessivi e positivi, uniti e determinati contro il buio e la negatività. Basta poco, basta un sorriso, una stretta di mano, una telefonata o una visita improvvisa con una bottiglia di vino e un pacco di pasta. Basta l’Italia. Bastiamo noi.

di Riccardo D’Urso

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