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giovedì, 9 Maggio, 2024
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Francesco Broccolo. Il virologo che traccia la linea

Lo scenario pandemico di questi ultimi tempi ha dato vita a molte dimensioni di carattere mediatico capitanate da esperti della ricerca internazionale.
Una figura italiana di notevole importanza per serietà, grande professionalità e attitudine al confronto è di sicuro quella di Francesco Broccolo, professore associato di microbiologia e virologia clinica presso l’Università di Milano Bicocca e direttore responsabile del laboratorio di Analisi Cliniche per CerbaVoce sempre attenta alla coerenza e alla giusta linea divulgativa, si è contraddistinto per la facilità di comunicare con il pubblico.

Lo incontro in un momento strettissimo di pausa, cosa alquanto difficile se si pensa al lavoro immenso che c’è dietro la macchina infaticabile di un laboratorio così importante.
La cravatta blu a righe si intravede dal camice bianco appena aperto. La stanza è arredata con l’essenziale e alle pareti due bei quadri danno a chi entra una sensazione di tranquillità. Le distanze non permettono che ci si stringa la mano (le tanto amate videocall), ma per un attimo, tra un cambio di mascherina e un’altra, il sorriso con cui accoglie questa intervista è espressione di gentilezza e cordialità.

L’Intervista

Professore, come crede che vada impostata oggi la comunicazione medico-scientifica in modo da poter realizzare una linea mediatica unica, chiara e attendibile? E come, su questo piano, pensa si stia posizionando l’operatività accademica?
Per essere chiara la comunicazione deve essere basata sempre sull’evidenza dei fatti. Molto spesso si è portati a dare delle risposte senza che queste abbiano delle reali attinenze con la veridicità comprovata. Purtroppo così si genera una divergenza di opinioni insieme ad una spiccata mancanza di oggettività. Potremmo fare senza alcun dubbio l’esempio della modalità incontrollata con cui sono venuti fuori diversi proclami relativi all’imminente uscita dei vaccini. Scorretto dal mio punto di vista. La procedura giusta dovrebbe essere quella secondo cui vengono messi in evidenza i dati scientifici e poi ogni addetto ai lavori può liberamente commentare (tipologia vaccino, dosaggi, tecniche utilizzate). Invece ci sono stati solo dei grandi annunci prima delle evidenze.
Per quel che riguarda la presenza accademica nella linea della comunicazione mediatica, sappiamo che molti scienziati sono degli accademici e spesso li ritroviamo in ambienti ad alto impatto, come la televisione, dove la comunicazione deve seguire delle regole di chiarezza e semplicità di esposizione per arrivare agli spettatori. Questo però collima con la forma mentis di chi lavora solo all’università. Penso che si dovrebbe dare più spazio a chi opera per formare i giovani ricercatori, da lì dovrebbe arrivare un flusso divulgativo più forte. Per fare in modo che il messaggio arrivi chiaro, forse si dovrebbe sviluppare una comunicazione scientifica su più canali di ricezione finalizzati a target ben precisi. La semplicità premia comunque sempre. Come diceva Einstein “Se non lo sai spiegare in modo semplice, non lo hai capito abbastanza”. Quello che forse dovrebbe iniziare a fare il mondo accademico è la creazione solida di veri e propri network per la divulgazione scientifica.

Jean Rostand una volta paragonò la ricerca scientifica all’unica forma possibile di poesia retribuita regolarmente dallo Stato. È ancora così?
Non credo proprio. Anzi, purtroppo è l’esatto contrario. Certo, la ricerca scientifica resta ancora una poesia a tutti gli effetti, soprattutto perché chi la segue lo fa per pura passione. Non essendoci però grandi finanziamenti governativi, ma solo opportunità economiche private, ci si ritrova a pensare alla grave perdita che ogni anno dobbiamo constatare attraverso il lavoro tenace di persone che per amore della verità, dello sviluppo e della scoperta lavorano pur sapendo di non essere realmente supportate. Un vero peccato. Credo che il futuro di un Paese si misuri non soltanto dal suo PIL ma anche e soprattutto dalla forza della ricerca.

L’autonomia della scienza spesso deve anche confrontarsi con l’etica e con la libertà dei diritti.
Certo, l’autonomia scientifica deve necessariamente confrontarsi. Lo abbiamo visto e lo stiamo vedendo con i vaccini. Quello che sempre va posto sulla bilancia è il dualismo “rischio più beneficio”. La scienza può fare degli errori. E anche quando sembra avvicinarsi alla verità, non è la verità. Le variabili in questo discorso sono talmente infinite che il più alto sforzo che tenda ad una sola e unica certezza sappiamo che non si potrà mai sostituire ad essa.

L’insegnamento che “questo tempo” lascerà al sistema sanitario nazionale.
(Rispondendo a questa domanda il professore si allenta per un attimo il nodo della cravatta e sembra sospirare dietro la mascherina).
Dunque, l’insegnamento… Questa pandemia ci sta già facendo capire, proiettandoci anche nel futuro più prossimo, che oltre alle dinamiche di reazione (effetto tampone) ci sono comunque una serie di condizioni che in altri ambiti, come quello bancario ad esempio, vengono definite come avverse, e che in questo caso non sono state messe in bilancio, se così possiamo dire. Il sistema è diventato avverso al sistema stesso. Sappiamo ormai che il piano pandemico aveva un ultimo aggiornamento datato 2006. Fa pensare. Non si può vivere in condizioni sanitarie al minimo della tollerabilità. Deve assolutamente essere potenziata l’organizzazione politica in materia di salute pubblica, e il dialogo che intercorre con la dimensione unica di ogni regione. Abbiamo bisogno di vedere un maggior coordinamento tra enti locali e governativi. Inoltre, la totale assenza di ricerca è stata alla base di quel rallentamento che non ci ha permesso di reagire in modo energico all’arrivo della pandemia. Non eravamo preparati. Credo che l’insegnamento migliore che resterà nelle menti di chi governa sarà quello di riuscire a creare finalmente un nuovo piano di riqualificazione e soprattutto di finanziamento rivolti alla nostra Sanità.

Qualcuno bussa alla porta. Entra un giovane biologo con tanto di plichi e fogli da firmare. Il professore gli fa cenno di attendere. “Abbiamo finito?”, chiede cortesemente. Gli rispondo di sì, anche se non è poi quello che penso. Ci sono talmente tante domande che vorrei fargli ma il numero dei fogli da vidimare che gli hanno poggiato sulla scrivania, le supera di gran lunga. Lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato. Ma prima di chiudere il collegamento, continuo.

“Un’ultima domanda professore, e poi la lascio lavorare”.
“La ascolto”, è la sua risposta.
“Con tutta la pressione di questi mesi e gli orari di lavoro che ho capito molto importanti, in che modo si rilassa un bravo virologo?”.
Sta sorridendo ora dietro la mascherina, e per un attimo lascia i fogli da firmare.
“Suono il pianoforte, insieme alle mie figlie. Sto in famiglia”.

Intervista a cura di Fabiana D’Urso

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