Inaugurare la Rubrica ITALIANI di Tesori d’Italia Magazine con Silvio Malvolti non è un caso. Lo abbiamo seguito nel tempo, lo abbiamo cercato, lo abbiamo incontrato e quando abbiamo capito che tutto quanto avesse fatto o provato a fare in 15 anni era ancora lì, davanti a noi, un po’ ammaccato ma vivo, fiero e determinato, non abbiamo avuto alcun dubbio: il Fondatore di BuoneNotizie.it e oggi fautore in Italia del Giornalismo Costruttivo doveva essere il primo Tesoro cui dare luce, spazio e voce.
Avere un’idea tanto semplice quanto importante, per l’Italia come per il mondo, i cui effetti positivi sulla gente sono indiscussi, lavorare e rischiare in prima persona per renderla concreta e far sì che gradualmente vi partecipino centinaia di migliaia di persone è la più grande dimostrazione che un cittadino possa dare di amore e di rispetto per il proprio Paese. Se Creatività, Design e intraprendenza – a detta di molti – è quanto sia rimasto ancora intatto del made in italy, insieme al nostro patrimonio turistico, Silvio Malvolti ha dimostrato di essere un prodotto cento per cento italiano e come tale andrebbe salvaguardato e supportato. Nel bene e nel male, ovviamente. Nella pura genialità del sistema cui ha dato vita, come nella stessa ingenuità dimostrata nel gestirlo, che in corso d’opera ne ha minato le basi ed il successivo sviluppo. Ma è questo il punto. E’ tempo che l’Italia impari non più a divorare al minimo errore, ma a riconoscere e a difendere i propri talenti. A proteggere le buone idee senza volersene per forza appropriare. A rispettarne l’appartenenza e l’integrità. Ad organizzarsi perché queste e i loro stessi ideatori abbiano la possibilità di mettere radici profonde nel proprio luogo di origine e contribuire così al proprio sviluppo naturale, che significa inequivocabilmente crescita e sviluppo del nostro Paese.
Non è solo cosa ha fatto Silvio Malvolti, è il modo in cui sia stato piuttosto capace di stimolare il mondo intorno a sé e al suo progetto. Che è quanto fa tutt’oggi. Siamo certi che BuoneNotizie.it – oltre ad avere dato il via in Italia ad una vera e propria corrente editoriale – sia intervenuto seppur in maniera inconsapevole nella vita di molte persone: offrendo uno spunto di riflessione, un’opportunità, un modo diverso e più positivo di affrontare un problema, una questione irrisolta, o semplicemente una brutta giornata. E chissà quante storie potremmo scoprire…
Diamo il benvenuto a Silvio, nella speranza che porti avanti il suo progetto editoriale e di vita con rinnovata forza e coraggio. Progetto al quale offriamo con estremo piacere questo nostro piccolo iniziale contributo. – di Riccardo D’Urso
“La vera malattia dell’editoria è proprio questa: un circolo vizioso negativo che fa sì che, per vendere più copie o fare più ascolti, si propongono solo i fatti peggiori, le foto più raccapriccianti, generando terreno fertile per uno sport che noi italiani amiamo particolarmente: lamentarci. E più ci lamentiamo, più troviamo conferma nelle cattive notizie che ci vengono spacciate come vere. Così ci comportiamo, inconsapevolmente, come se quella fosse l’unica realtà che ci circonda, convincendoci che il nostro vicino di casa è pericoloso come il vicino di Erba. In verità è esattamente l’opposto“. – Silvio Malvolti
Silvio Malvolti, una carriera nel mondo informatico, approda nel mondo dell’editoria per realizzare un sogno: divulgare un modello di informazione costruttivo e sostenibile, pubblicando solo Buone Notizie: un giornale di cui è editore, poi divenuto digitale dopo aver fondato una start-up innovativa per la ricerca e lo sviluppo di nuovi modelli di business per il mondo dell’informazione digitale, premiata da Apple, IlSole24ORE, la Presidenza della Repubblica e da numerose università italiane. Il percorso per arrivare al suo obiettivo è però lungo, incrociando esperienze diverse: dalla vendita al marketing, dalla comunicazione al project management, una breve esperienza in RCS, poi la concessionaria pubblicitaria digital del Gruppo 24ORE, e successivamente managing director di Premium Store, start-up innovativa del gruppo Digital Magics, uno dei più importanti acceleratori d’impresa italiani.
L’Intervista
– Il tuo percorso fino alla creazione di Buone Notizie
Tutto comincia nel 2001, un anno segnato dalla notizia più clamorosamente infausta del nuovo millennio: l’attacco alle torri gemelle. A un mese di distanza dall’11 settembre facevo zapping e vedevo che in tv non si parlava che di terrorismo. L’allarmismo era alle stelle. Anche la normale programmazione televisiva in prima serata, e non solo, proponeva film e scene di violenza a ripetizione. Chi voleva distrarsi dal quotidiano non aveva scampo, a meno di spegnere la tv. La semplice constatazione di tutto ciò mi suggerì l’idea di creare un progetto che rispondesse, a modo suo, al clima teso del momento: un giornale di notizie positive, qualcosa che distraesse dalla mole d’informazione univoca e pessimista e stimolasse a riprendersi le proprie vite e il proprio tempo. Non una distrazione sterile ancorata nella fiction, ma la ricerca di un’altra attualità, qualcosa che rispondesse alla domanda “ma davvero non accade nient’altro nel mondo che attacchi terroristici?” Volevo raccontare un’altra realtà, diversa, migliore, meritevole di essere conosciuta. Nasce così, in pieno boom di internet, il primo esperimento, quasi per gioco: BuoneNotizie.net, il primo sito che racconta fatti positivi.
– I principali ostacoli che hai dovuto affrontare
L’idea, apparentemente scontata, era tutt’altro che semplice da far decollare. Al di là dei luoghi comuni, seppur veri come il concetto che le brutte notizie attirino più delle buone, il progetto non ha avuto immediato appeal, complice l’ancora bassa diffusione di internet in Italia, e soprattutto la mia poca esperienza del settore della comunicazione e dei media. Allora mi occupavo di informatica: forse avevo realizzato un buon sito, ma mancava tutto il resto.E lì ho capito che avrei dovuto strutturarmi meglio e che da solo difficilmente sarei andato da qualche parte.
– Quanto tempo dalla ideazione alla realizzazione
Il passaggio dall’idea al sito è stato quasi immediato, detto fatto: solo un mese (a novembre eravamo online). Ma tra dubbi e scoraggiamenti sono passati altri tre anni prima di fondare un’associazione culturale che racchiudesse i valori del progetto e delle persone che li condividevano, e lanciare così il primo numero cartaceo in edicola con il supporto di uno sponsor. Creare un prodotto fisico, vederlo uscire sul nastro di una enorme rotativa e distribuirlo è stata un’esperienza straordinaria, ma anche questa fallimentare. Dopo pochi anni cessammo le pubblicazioni, così decisi di chiudere per un po’ il sogno in un cassetto, ma non di arrendermi. Fu così che decisi di andare a farmi un po’ le ossa in uno dei più grandi gruppi editoriali italiani, e osservare come funzionavano le cose da dentro. Il progetto fu rilanciato con notevole successo 4 anni più tardi, questa volta in versione interamente digitale, con il riconoscimento di numerosi premi, anche in denaro, con cui ho rilanciato l’iniziativa tramite una start-up.
– Come hai cercato e selezionato le persone che ti hanno affiancato veramente nel progetto
E’ venuto tutto da sé. Ero così determinato che le persone hanno creduto in me e si sono aggregate al progetto. Ho cercato di circondarmi solo dai migliori. Nonostante questo ho commesso più di un errore: l’ultima versione del progetto, che avevo affidato a un consulente esterno, era troppo orientata sul profitto e meno sui valori che avevano ispirato il progetto originario. Le conseguenze sono state disastrose, poiché hanno anche attirato situazioni molto sgradevoli dettate dall’avidità, sottovalutando il vero impatto che avrebbe potuto avere un’idea del genere, ovvero l’impatto sulle persone: in che modo un’informazione più orientata alle soluzioni, e non alle crisi, avrebbe potuto migliorare la vita delle persone? Quale impatto sociale avrebbe avuto un progetto del genere se non avesse assecondato troppo pedissequamente le logiche del profitto?
– Cosa è piaciuto di più al pubblico e in che modo ha partecipato
La promessa racchiusa nel nome: buone notizie. Questo è ciò che è piaciuto di più alle persone. “Finalmente!” è stato il commento che ho ricevuto più spesso, insieme a tanti messaggi di incoraggiamento.
– Quali invece le critiche
Una promessa certamente molto elevata, difficile da mantenere, perché l’idea di “buona notizia” che ciascuno di noi ha, è diversa a seconda della nostra età, esperienza, idea che abbiamo del mondo, o fede religiosa, politica, sportiva, e così via. Difficile accontentare tutti. Per questo è stato facile cadere nella semplificazione, un altro errore che ho commesso cercando un compromesso inevitabile.
– Come si è trasformata l’Italia nel periodo in cui hai portato avanti il progetto e come hai gestito questa trasformazione professionalmente ed editorialmente
Credo che in Italia non sia cambiato molto in questi anni, se non il fatto che le persone sono sempre più consapevoli di come possono essere influenzate dai mass-media. All’estero invece i giornalisti e gli stessi editori stanno facendo qualcosa: sono nate nuove correnti giornalistiche in grado di declinare meglio le notizie in positivo, ovvero riportando anche le possibili soluzioni ai problemi, alle crisi, raccontando chi sta facendo cosa per risolvere un determinato problema o la storia di chi ce l’ha già fatta e non aspetta altro che essere imitato. Nel nord Europa viene chiamato “giornalismo costruttivo”, negli Stati Uniti “giornalismo delle soluzioni”. Un modo efficace per non lasciare ai lettori quella sensazione di frustrazione, indignazione, senso di impotenza, che spesso proviamo quando si vedono raccontare solo i fatti fine a se stessi, a volte alterati per renderli più sensazionali, e quindi più vendibili: basta fermarsi a leggere le locandine dei giornali locali fuori dall’edicola per renderci conto quali siano le leve utilizzate per vendere i giornali oggi. La vera malattia dell’editoria è proprio questa: un circolo vizioso negativo che fa sì che, per vendere più copie o fare più ascolti, si propongono solo i fatti peggiori, le foto più raccapriccianti, generando terreno fertile per uno sport che noi italiani amiamo particolarmente: lamentarci. E più ci lamentiamo, più troviamo conferma nelle cattive notizie che ci vengono spacciate come vere. Così ci comportiamo, inconsapevolmente, come se quella fosse l’unica realtà che ci circonda, convincendoci che il nostro vicino di casa è pericoloso come il vicino di Erba. In verità è esattamente l’opposto.
– Quali iniziative simili alla tua all’estero e come avete interagito
Sì, certo, all’estero esistono diverse iniziative già strutturate. Con alcune di esse abbiamo anche lavorato. In Italia invece c’è ancora molto lavoro da fare. Sebbene negli ultimi tempi siano nate iniziative simili, alcune addirittura omonime, sono ancora molto lontane da una forma di giornalismo genuina e veritiera, essendo perlopiù guidate da logiche commerciali, nonostante vengano pubblicate da editori di primo piano. In altre parole, ci girano intorno senza affrontare davvero la questione, perché non gli conviene. Secondo una ricerca dell’Eurodap, l’associazione europea che studia i disturbi da ansia e attacchi di panico, i mass-media sono la prima causa di ansia e depressione. Nel 2011 abbiamo calcolato il costo che il sistema sanitario nazionale deve sostenere in media per ciascun individuo a causa di questo fenomeno. Parliamo di centinaia di euro a testa. Tradotto: i mass-media stanno generando un enorme danno sociale, al pari delle sigarette e dei costi per curarne i tumori, o del gioco d’azzardo e dei costi per sostenere le campagne contro la ludopatia. Non si vuole cambiare, perché crollerebbero interi settori.
– Il tuo percorso professionale attuale e i tuoi obiettivi
Il mio lavoro è sempre legato in qualche modo a questa sorta di personale missione: cambiare il modo in cui media fanno informazione, un poco alla volta. Il prossimo passo che vorrei intraprendere è quello di portare il giornalismo costruttivo in Italia, attraverso un percorso formativo destinato ai giornalisti. Sono loro infatti che possono davvero cambiare le cose: attraverso una comunicazione diversa.
– Quale credi sia la strada in Italia perché il giornalismo costruttivo trovi lo spazio che merita
Parlarne, farlo conoscere e insegnarlo a chi le notizie le produce, affinché venga adottato nel modo più ampio possibile, innescando un effetto virtuoso. Stiamo già lavorando insieme all’Ordine dei Giornalisti per rendere possibile tutto questo. Pubblicheremo tutti gli aggiornamenti sul nostro sito buonenotizie.it. Solo così le notizie costruttive potranno veramente diffondersi e arrivare alle persone, dando una percezione migliore e più veritiera della realtà che ci circonda. Solo così avrà luogo un cambiamento nel mondo dell’informazione.