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Se pensate che l’alpinista sia un supereroe, posso assicurarvi che non è così. È stato Hervé Barmasse a dirmelo. E ad uno che in solitaria sfida la montagna con lo stesso entusiasmo di un suddito che si avventura desideroso di incontrare la propria regina, devo credere per forza.
Non tutte le interviste avvengono nello stesso modo. Alcune sono costruite face to face in un elegante studio con luci adatte, altre in videochiamata attraverso le sfumature poco allegre di un monitor, altre ancora mentre si sta guidando (di solito, e per serietà, è bene che sia l’intervistato), e questo dona un senso di movimento a tutto il discorso.
Di Barmasse credo si sia detto molto. Nato e cresciuto ai piedi del Cervino, è un serio alpinista, una guida di grande professionalità, un abile oratore e un esempio di concretezza e apertura nel tramandare in tanti modi la passione per questa grande signora, la “sua” montagna.
Avevo da tempo il desiderio di parlare con una persona che ho sempre avvertito come qualcuno in grado di portare con sé una grande calma e un coraggio di cui raccontare, soprattutto per poter comprendere su quali note giri la vita nel momento esatto in cui ci si trova da soli di fronte a sfide che spesso sembrano molto più grandi di noi.
“Usiamo spesso la montagna come metafora della vita – mi dice – A volte può essere faticosa, altre esaltante, ma può accadere anche che sia profondamente demotivante”.
Ascoltare Hervé è come seguire le parole di chi ha qualcosa da insegnarti; quello che arriva somiglia molto a ciò che si sente dentro e che un po’ si sospetta da sempre di conoscere.
“Oggi siamo tutti focalizzati sul raggiungimento della vetta. Il successo sembra essere diventato una prerogativa di vita, ma dalla vetta prima o poi bisogna scendere. Quando ci si addentra nelle vene profonde della montagna il percorso è fatto di alti e bassi, così come nell’esistenza e in tutte le nostre emozioni: bisogna essere tristi prima di poter essere felici. Ci vuole equilibrio”.
Sull’essere alpinista Barmasse preferisce raccontare di come sia realmente un privilegio poter stare a contatto diretto con paesaggi naturali di estrema bellezza. Gli domando se alla base della filosofia di chi conosce la montagna ci sia sempre il voler cercare e scoprire qualcosa di nuovo, proprio perché questo concetto credo si possa legare a tante situazioni della vita.
“Aprire una nuova strada, un sentiero ancora inesplorato è un’esperienza soggettiva. Anche tornare su di un percorso già fatto ma con occhi diversi può essere ugualmente interessante. Per dare un valore alle cose che abbiamo, dobbiamo confrontarci sempre con il nuovo, che però non sia per forza un nuovo assoluto”.
L’Intervista
La libertà, alcune volte, può essere anche rischiosa?
La libertà per me è prendere posizione, mettersi in gioco. In montagna però suona diversamente, se sbagli qualcosa puoi pagarla a caro prezzo. Bisogna calcolare sempre il grado di rischio che c’è in ogni cosa che si fa, ma una vita da persone non libere credo sia una vita in cui non ci è permesso essere noi stessi. La libertà porta con sé anche la responsabilità e io penso sia importante che ce ne sia anche una di carattere sociale, sempre.
L’immobilità apparente delle montagne e il loro linguaggio eterno.
Questi giganti hanno un grande potere sull’uomo. È quel fascino che ogni alpinista sperimenta e che funge da calamita, proprio perché la montagna lo attira fortemente a sé. E se questo accade l’uomo comprende il suo bisogno di ridimensionarsi di fronte a tanta forza. Quando sei a contatto così con la natura capisci molto presto che la battaglia è vinta in partenza, non possiamo controllarla ma possiamo comprendere che nella sua grandezza ha una valenza fondamentale. Dalle montagne viene ciò che serve alla sopravvivenza di tutti noi. E questa costante dovrebbe essere alla base del rispetto nei confronti di questi imponenti re e regine.
Quanto è importante non ripetersi, cercando di scoprire sé stessi lungo il percorso in salita?
Scoprire qualcosa di sé stessi dovrebbe essere una prerogativa costante. Tutto quello per cui nutriamo una passione e che ci interessa realmente, lo viviamo come primo step sempre sulla nostra pelle e per ognuno si tratta ogni volta di un insegnamento. Il desiderio di conoscenza è alla base di ogni scoperta.
Cosa passare alle nuove generazioni guardando anche all’attuale filosofia ecosostenibile globale?
Quello che dico sempre ai più giovani è che la montagna non è solo fatica, ma è soprattutto un luogo di gioia, di piacere, di cultura. Cultura del popolo dei montanari, un mondo unico con tantissime sfaccettature così come sono le tante valli laterali che ospitano tradizioni e folklore sempre diversi, ognuna con le sue usanze. Le nuove generazioni devono avvicinarsi in punta di piedi perché il rispetto per la natura deve essere al primo posto. C’è tutta una storia che racconta il perfetto passo del montanaro, ovvero l’importanza di avere ognuno un’idea chiara della propria strada, della propria andatura, ognuno di noi deve trovare la sua montagna. Inoltre, oggi è fondamentale guardare alle montagne anche dal punto di vista professionale. Lavorare da remoto in un contesto paesaggistico come quello che ci offrono le nostre località non solo alpine o appenniniche è una scelta che porta nuova vita a luoghi di grande bellezza.
La famiglia è la roccia più importante. Come si concilia la responsabilità di gestire la forza e il pericolo del tuo lavoro con l’esigenza di essere comunque sempre presenti e soprattutto attenti?
Questa domanda me la sono posta molto tempo prima di creare la mia famiglia. Quello che so è che da quando sono nate le mie bambine la mia vita, dal punto di vista del lavoro, non è cambiata. Quello che accade ora è che certi rischi li prendo con una maggiore riflessione. Se dovessi smettere per questo motivo non potrei essere lo stesso padre, né tanto meno lo stesso compagno, perché non riuscirei a regalare le stesse emozioni.
Non so quanti chilometri Hervé abbia fatto durante questa intervista, devo aver parlato molto, ma di sicuro tutto quello che ha detto è impresso nella mia mente.
Dal 12 al 18 luglio ci sarà un evento importante, La Settimana del Cervino, che lo vedrà protagonista con una serie di conferenze – interverrà anche Miki Costa – tutte incentrate sulla profonda cultura di chi fa dell’esplorazione e dell’avventura i mezzi più veloci per guardare al futuro, senza dimenticare il rispetto per il mondo che ci ospita.
Si è da poco chiuso il Trento Film Festival al quale Hervé Barmasse ha partecipato, insieme ad Alessandro Beltrame con cui ha condiviso la regia, con il film documentario Cervino, la Cresta del Leone, prodotto da Vibram.
La voglia forte di far arrivare a tutti un messaggio di apertura e sensibilizzazione nei confronti del saper vivere la montagna è una delle passioni che porta Barmasse a essere identificato come un mentore dell’avventura e un amico di scalata. Ad ogni modo, le sue parole possono servire anche a chi con la roccia non avrà molto a che fare nella vita ma si troverà costretto a dover decidere se arrivare fino in cima oppure no. A voi la scelta.
Intervista a cura di Fabiana D’Urso
? Copertina | Damiano Levati
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