Il territorio di Atessa, piccolo e delizioso borgo nella Val di Sangro in provincia di Chieti, in Abruzzo, vanta un’antica tradizione nella produzione, essiccazione e commercializzazione del Fico secco Reale: non a caso gli atessani vengono chiamati “squacciafichere” proprio per la loro “maestria” nello schiacciamento dei fichi per l’essiccazione.
La coltivazione dei fichi in questo territorio ha una storia plurimillenaria risalente al periodo romano: in località Acquachiara gli archeologi hanno rinvenuto, in un insediamento probabilmente riferibile a una villa rustica del I secolo d.C., un deposito con resti carbonizzati di fichi, uva e susine. Un documento attesta che nel 1320 Roberto d’Angiò avesse addirittura imposto delle gabelle sui fichi secchi prodotti ad Atessa e commercializzati via mare. Nella “Descrizione del Regno delle due Sicilie” di G. Del Re (1835), si ribadisce che gli alberi producono frutti copiosi che “…oltre il consumo interno ne vendono una parte alle genti di montagna, ne imbarcano un’altra per la Dalmazia, Fiume, Trieste, Venezia, e ne traggono circa 15000 ducati l’anno”.
A partire dagli anni ’70 e ’80 lo sviluppo industriale della Val di Sangro ha messo in crisi le produzioni agricole e la coltivazione è andata progressivamente scemando fino quasi a scomparire; tuttavia, nel 2015 il Fico secco Reale è diventato un presidio Slow Food. «Il Fico Reale di Atessa è una sottovarietà del dottato, che ha trovato il suo luogo naturale di elezione nel territorio atessano – spiega Vincenzo Menna, referente Slow Food dei produttori – Atessa gode infatti di un microclima particolare, che ne ha favorito l’attecchimento. Il riconoscimento rappresenta una grande conquista, era un obiettivo che credevo quasi un sogno e che invece si è realizzato. Rappresenta un riconoscimento ufficiale del lavoro, della storia, della cultura e della bontà che c’è dietro il frutto Fico Reale di Atessa. Essere un presidio implica uno standard alto ma ci consente di inserirci in un mercato di qualità e garantire il giusto guadagno a chi produce».
I segreti della produzione sono apparentemente semplici: qualità del frutto fresco e cura paziente nei procedimenti di essiccazione. «I fichi vengono raccolti a mano fra la seconda metà di agosto e la fine di settembre, facendo attenzione a mantenere il picciolo – spiega Vincenzo – Quindi vengono stesi interi o tagliati a metà sui cannizzi sopraelevati e lasciati essiccare al sole di giorno e riposti al buio di notte; l’operazione viene ripetuta fino a quando il fico è secco ma ancora morbido al tatto. A questo punto i fichi vengono farciti con un gheriglio di noce e dopo averli richiusi, vengono passati in forno ad una temperatura di circa 80/90° e infine riposti con foglie di alloro in un luogo buio e asciutto sino all’inverno».
La riscoperta di questi antichi saperi ha entusiasmato alcuni giovani professionisti che con tenacia e pazienza hanno iniziato a recuperare le piante antiche e avviato nuove coltivazioni, nel rispetto di uno scrupoloso disciplinare che impone la coltivazione senza diserbo chimico e fertilizzanti di sintesi, la raccolta ed essiccazione seguendo le antiche tecniche e la vendita non prima del periodo canonico (dopo il 4 ottobre di ogni anno). Grazie alla tenacia di questi piccoli produttori, agli eventi locali e alla partecipazione a fiere di settore oggi il Fico secco Reale di Atessa è presente anche all’estero, a tal punto che la domanda è persino superiore all’offerta.
Il fico secco è anche il protagonista di gustosi biscotti, confetture e dolci tradizionali come il Torrone di fichi secchi di Atessa, un dolce antico e pregiato composto da miele, fichi secchi e noci, e la Squacciata di fichi, una variante del torrone, ricoperto di cioccolata.
Soddisfazione per chi ci ha sempre creduto e continua a crederci. Non si può che augurare che il Fico secco Reale di Atessa sia in futuro di ispirazione a nuove (ma antiche) gustose realtà.
di Elena Trombetta e Roberta Odoardi
Foto di Vincenzo Menna