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venerdì, 3 Maggio, 2024
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FABIO POLLICE, IL RETTORE INNAMORATO DEL SALENTO

Come seminare un campo infinito di possibilità e conoscenze accademiche, attraverso un territorio unico che sa accogliere chiunque si faccia portatore di nuove culture.

Fabio Pollice è un vero Rettore.
Non di quelli che vedono nel loro ruolo un accento di potere o di possibilità di essere al di sopra dei pensieri e delle opinioni degli altri. No. Fabio Pollice è un Rettore dallo sguardo profondamente umano e soprattutto umilmente innamorato del proprio lavoro.
Prima di entrare nel suo studio racchiuso nel centro storico di Lecce e cullato dalle visioni prospettiche e barocche della pietra bianca dalle mille venature, mi soffermo per un attimo sull’excursus pittorico rappresentato da una decina di grandi cornici che ospitano i ritratti di coloro che hanno fatto la storia dell’Università del Salento. Ecco, dopo aver conosciuto Fabio Pollice, posso con grande serenità affermare che a differenza degli altri, il suo è indubbiamente un “profilo” che guarda di più al futuro. E non solo per il guizzo azzurro degli occhi che si porta dietro gli schizzi delle onde di Via Caracciolo, ma perché la sua è una vera e propria crociata per promuovere la conoscenza e la contaminazione culturale.
La scrivania è molto grande e posso tranquillamente sparpagliare i fogli su cui andrò a scrivere le sue risposte.

Come un ateneo universitario può aiutare i propri studenti a realizzare i loro sogni e le loro vocazioni. Da cosa si parte?

La verità è che molti dei nostri studenti non sempre approdano all’Università con dei sogni, e questa è una mia preoccupazione. Oggi, quella che definiamo Università di massa, accezione questa però in positivo, dovrebbe avere la capacità di portare i giovani a proiettarsi nel futuro, a scoprire e alimentare i propri sogni, le proprie vocazioni. Diciamo che rispetto al passato, vengono da noi più spesso con l’idea di poter trovare una professione, in risposta ad un sistema culturale che vuole che l’Università sia solo una fabbrica di professionalità al servizio degli interessi degli attori economici; e questo, a mio avviso, è un grande errore e non perché l’Università non debba avere questo nei propri obiettivi istituzionali, ma perché il percorso universitario ha un compito più alto: formare cittadini che siano in grado di mettere le proprie qualità al servizio della società, realizzando pienamente se stessi. L’Università è un percorso formativo che deve portare uno studente, una studentessa a ricercare la propria vocazione e a costruire intorno ad essa il proprio percorso formativo. E può raggiungere questo obiettivo quando è aperta e dinamica, e propone non un percorso di studi, ma un percorso di vita con esperienze arricchenti e coinvolgenti. Sono queste le motivazioni che mi spingono a dire che l’Università non può che essere “in presenza” e deve compiersi attraverso la costruzione di quel rapporto unico che si stabilisce tra colleghi e, poi, con i professori. È questa la strada perché uno studente possa costruirsi un profilo umano e professionale appagante. Per raggiungere questo obiettivo noi partiamo dall’orientamento nelle scuole, perché è lì che i giovani incominciano a proiettarsi nel mondo universitario. Quando incontro gli studenti liceali cerco sempre di fargli capire che l’Università è pronta a stimolare la loro curiosità, il loro ingegno, la loro passione, perché la società ha bisogno di loro per affrontare le sfide che l’attendono; ha bisogno di laureati in grado di mettere in valore i potenziali territoriali e costruire uno sviluppo sostenibile. Il ritardo rispetto ad altri Paesi occidentali è dovuto proprio alla scarsa incidenza dei laureati. In più gli spieghiamo che, come Ateneo, abbiamo tutto l’interesse e la voglia nell’accompagnarli dopo il percorso accademico ad inserirsi nella società per poter concretamente contribuire con le professionalità acquisite al suo sviluppo. A tal fine stiamo ad esempio sostenendo con contributi finanziari, i tirocini post laurea e abbiamo allargato il numero delle imprese partner che offrono tirocini ai nostri laureati e alle nostre laureate. Naturalmente ogni percorso formativo all’interno del nostro Ateneo è costruito per favorire questo inserimento professionale. Lo dimostrano i corsi sulle soft e life skills che offriamo gratuitamente ai nostri studenti per sviluppare quelle capacità relazionali che possano consentirgli un miglior inserimento nel mondo del lavoro e più in generale nella società; o, ancora, il corso sullo sviluppo delle capacità imprenditoriali con il nostro Contamination Lab.

Dalla costiera amalfitana, passando per Capo Verde fino ai colori e al vento salentini. Qual è l’universalità della contaminazione culturale e come la si esporta in un’esperienza di rettorato?

Da geografo credo che una delle qualità delle persone sia quella di riuscire a leggere e comprendere le altre culture entrando in un rapporto di reciprocità con esse; comprendere l’altro, leggere l’altrove è fondamentale per l’integrazione tra i popoli, ma anche per il riconoscimento del sé individuale e collettivo. Per poter stabilire una relazione empatica con i luoghi che si vivono, bisogna avere una propensione ad ascoltarli soprattutto attraverso le persone che li abitano. I nostri studenti dovrebbero capire che noi siamo una terra di contaminazione e quindi, soprattutto di dialogo. E come si concretizza questa realtà? Rafforzando la dimensione locale, portando la comunità attraverso un senso di appartenenza ancora più profondo, così da poter riconoscere realmente il proprio luogo. La nostra scuola di Placetelling esiste proprio per questo. Noi non siamo sempre coscienti della nostra identità, poi però riflettendoci mi sono reso conto che questo può avvenire unicamente attraverso un più profondo senso identitario. Perché per farsi amare, bisogna amarsi. In questo modo sarà possibile avere una comunità in grado di comprendere il proprio valore distintivo, ma nel contempo aprirsi all’altro e co-costruire con esso il proprio futuro. Non dobbiamo temere chi viene da altre culture e vederlo come uno straniero, perché il vero straniero è solo colui che “non si riconosce nel luogo in cui vive”. Non ha importanza da dove veniamo ma è importante a cosa ci sentiamo di appartenere. Per questo le Università, sebbene radicate nei territori di cui sono espressione ed eredi delle rispettive identità culturali, sono e devono rimanere luoghi di dialogo tra i saperi, le culture, i popoli, luoghi in cui l’umanità intera si riconosce e unita può costruire il proprio futuro.

Nuove tecnologie e Intelligenza Artificiale. Il polo universitario del Salento ha il suo giardino di fiori all’occhiello.

Il nostro Ateneo è da sempre proiettato all’innovazione tanto nell’area scientifico-tecnologica come dimostra la specializzazione sulle nanotecnologie, quanto in quella umanistico-sociale come dimostra il corso di nuova attivazione in Data Science per le scienze umane. Di recente abbiamo ulteriormente ampliato lo spettro delle nostre specializzazioni con lo sviluppo dell’area Salute e nella Biomedica in particolare. Attraverso le collaborazioni con il CNR e con l’IIT, insieme con Medtronic, abbiamo dato vita al Salento Biomedical District, un polo d’attrazione per le imprese anche in virtù dei corsi di laurea in Ingegneria Biomedica e il MedTec, corso che integra medicina e ingegneria, e della realizzazione del nuovo incubatore-acceleratore di imprese in area OneHealth. Inoltre, insieme con l’Università di Bari e il CNR, stiamo creando un centro di terapia genica con una CAR-T Factory per la cura delle malattie onco-ematologiche: un investimento di eccezionale valore per il sistema della ricerca e della cura dei tumori. L’Università ha investito molto, e continua ad investire nella ricerca, così come nella didattica ad essa collegata e nell’assistenza e sviluppo territoriali. L’obiettivo è creare un polo integrato che unisca, integrandoli, ricerca, didattica, assistenza sanitaria e produzione di tecnologie avanzate: un distretto unico, capace di generare sviluppo, ma anche di contribuire a migliorare il benessere della collettività.

Qual è la giornata tipo del bravo Rettore?

Una parte è sempre dedicata allo studio, all’aggiornamento, ma quel che mi impegna particolarmente è intessere e consolidare relazioni, costruire reti, perché credo che le Università debbano essere connettori di saperi, di culture, di progettualità, ma anche perché credo che dall’ascolto e dalla condivisione possa nascere sempre un futuro migliore. Un’altra parte fondamentale del mio tempo la dedico naturalmente alla pianificazione, cercando di mettere in valore la mia creatività e quelle dei colleghi e delle colleghe che con la propria professionalità e con il proprio entusiasmo rendono davvero unico il nostro Ateneo. Dico sempre a me stesso che ogni giorno dovrebbe vedere la realizzazione di un progetto e l’apertura di uno nuovo, per dare concretezza e prospettiva alla nostra istituzione. Non è sempre così, ma porsi questo obiettivo mi sembra assolutamente imprescindibile. La verità è che con la mia comunità accademica mi piace realizzare tutto quello che possa contribuire al bene dell’Ateneo e del nostro territorio: il Salento, una terra splendida che merita di essere valorizzata ma non per la sua bellezza, ma per il suo incredibile capitale umano che è la sua vera ricchezza; esempio emblematico di quale contributo il Mezzogiorno possa fornire allo sviluppo del nostro Paese e dell’Unione Europea.

Ecco, questa è solo una parte della grande umanità e professionalità di Fabio Pollice, Rettore internazionalmente partenopeo, dell’Università del Salento. Quello che non scriverò, ma che è stato un piacere ascoltare, è la sua iperattività creativa (anche se, come mi dice, su base bradicardica), che va dal design personale di lampade fatte con il legno (che intaglia caparbiamente quando riesce a rilassarsi) e pietra leccese (Helen Mirren, attrice premio Oscar, ne ha una nella sua casa salentina), fino ai racconti esperienziali di comunicazione nelle piccole isole capoverdiane. Questo Rettore è davvero “tanta roba”, e il mio augurio è quello di poter avere un giorno un ritratto nella galleria dei suoi predecessori che riesca a riportarne lo scintillio degli occhi rivolti sempre, con fare pacato e sorridente, verso il futuro delle nuove generazioni.

Articolo di Fabiana D’Urso

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